Stesso sangue, stesso vino: la cultura in bottiglia della famiglia Brugnera Muraro

Coltura e cultura. Ma, in fondo, si può pure aggiungere l’accento. E trasformare la congiunzione in verbo: perché la coltura è cultura. Lo è soprattutto per una famiglia: Brugnera Muraro. La stessa che ha legato il proprio nome a un’attività. E a un prodotto. Rigorosamente doc: il vino. È stato così fino agli anni Ottanta. Ed è così ora. Sì, perché una nuova generazione ha riavvolto il filo della propria storia: un filo che non si è mai spezzato e che adesso vede coinvolti in primissima linea quattro fratelli. Elena, Alberto, Laura e Maria: «Abbiamo scelto di avviare un nuovo progetto per la produzione di vini italiani con l’uva della nostra zona – raccontano -; per questo, tra il fiume Piave e il monte Pizzocco, si è deciso di piantare delle viti. E con esse, una cultura enologica, grazie a vini minerali che sviluppano le loro caratteristiche sfruttando un terreno pedemontano, ben lontano dalle colture intensive».
Dai ricordi del passato a un’idea per il futuro. Diventata poi un progetto. E infine realtà. La realtà dei “Vini Muraro”: «Tutto nasce dal profondo rispetto per l’ambiente – racconta Elena – e dal desiderio di dare un’ulteriore possibilità di valorizzazione a un territorio che tanto amiamo». Quello di Santa Giustina, dove il nonno, un tempo, gestiva la cantina e un albergo: «Anche noi, però, abbiamo risentito della situazione attuale – prosegue Elena Brugnera Muraro -; il Covid-19 ci ha messo in difficoltà. E ha bloccato l’intero settore. La nostra principale clientela, infatti, è legata alla ristorazione, mentre durante il lockdown non siamo andati oltre qualche consegna. Ora inizia a intravvedersi qualche segnale di ripresa, ma il processo è piuttosto lento».
Dopo la pandemia, la provincia ha l’esigenza di compattarsi. Per vivere, e vincere, nuove sfide: «Se si vuole realmente il bene di questa provincia, è tempo che i bellunesi imparino ad acquistare i prodotti del territorio». Compreso il vino.