Cooperativa sociale Dumia: dopo la tossicodipendenza, si coltiva la vita
Casa del silenzio: è il significato della parola “Dumia” in lingua ebraica. Una casa in cui poter meditare, ascoltare se stessi, riannodare il filo con la pace e il benessere interiore. Specialmente dopo aver navigato in un mare in tempesta. Quella casa si trova a Feltre, in via Volturno: ed è la sede della Cooperativa sociale Dumia. Dove trovano spazio, e lavoro, persone con un passato di tossicodipendenza e altri problemi: «Allo scoppio della pandemia – sottolinea il presidente della Cooperativa, Manuel Noal – ogni ospite ha reagito al meglio. E non era affatto scontato. La sfera sanitaria era la più complicata da gestire, ma nella struttura non abbiamo registrato alcun contagio. E, per quanto riguarda la parte agricola, il fatturato è addirittura cresciuto, visto che siamo riusciti a mettere in piedi un servizio a domicilio che ha avuto buonissimi riscontri. È stato un grosso sforzo organizzativo, però ne è valsa la pena».
Anche se i costi si sono alzati: «Le spese hanno coinvolto soprattutto l’ambito della prevenzione, tra l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale e la formazione del personale. Durante il lockdown, non era facile trovare qualcuno che aiutasse a gestire 30 persone con problemi di tossicodipendenza. Anche perché l’accesso alla struttura era vietato ai tirocinanti esterni».
La cura dell’orto è diventata una tra le più efficaci attività terapeutiche, oltre che una forma di autosostentamento: «Seguiamo le regole del biologico, mentre la terra insegna. Sì, insegna ai ragazzi che va nutrita, curata e rispettata. E che il tempo aiuta a crescere».
La Cooperativa si è già attrezzata, qualora dovesse arrivare una nuova ondata di contagi: «Abbiamo fatto scorta di mascherine e di viveri – conclude Noal – mentre una stanza è sempre libera nel caso qualcuno fosse febbricitante. Nel complesso, è importante intervenire con protocolli chiari e in tempi brevissimi».