Come un bene di prima necessità: i fiori e le piante resistono alla pandemia

Dopo la pandemia, sbocciano i fiori. E non solo in senso metaforico. Perché si può rinunciare a tutto, o quasi, ma non ai colori di un petalo, al verde di una piantina, alla magia di un seme. E per conferma, basta chiedere ai gestori dell’Alpaflor, a Puos d’Alpago, dove regna la floricoltura: «Una volta superati i primi dieci giorni di chiusura totale – racconta Raniero Bortoluzzi – siamo partiti con le consegne a domicilio. La seconda parte del mese di marzo si è rivelata di transizione, ma da aprile ci siamo attrezzati al meglio. E abbiamo lavorato molto e bene. La risposta dei nostri clienti ci ha davvero sorpreso».

Il Coronavirus sembra aver stimolato il piacere di lavorare l’orto o curare il giardino: «In termini di richiesta dei prodotti, abbiamo registrato un’autentica impennata. Dovendo rimanere ferme per diverse settimane, le persone hanno ritrovato il contatto con la terra e il verde. Senza rinunciare ai fiori». Anche durante il lockdown, Bortoluzzi e i suoi collaboratori hanno coltivato la speranza: «L’attività era chiusa, ma non volevamo gettare via i fiori. E così abbiamo scelto di donarli: ai clienti che ne facevano richiesta. E ai Comuni: Longarone, Ponte nelle Alpi, Alpago».

Cambiano i tempi, non la filosofia che, da sempre, contraddistingue l’Alpaflor: «La nostra attività è partita nel lontano 1977, ma nel 2002 ci siamo trasferiti nella nuova sede di via Grava, con più di 5.500 metri quadrati di superficie, coperta e riscaldata. Il nostro orientamento è rivolto alle colture locali: tra gerani e ciclamini, surfinie e crisantemi, pansè e petunie, cerchiamo di rispondere ai desideri dei clienti. E di proporre i prodotti migliori, con un occhio di riguardo alle novità». La fase critica dell’emergenza è alle spalle: ora, di contagioso, c’è solo la bellezza dei fiori.