Agnello d’Alpago: l’eccellenza non conosce lockdown

Cresce grazie all’allattamento naturale. Pascola nei prati dell’Alpago, dalla primavera all’autunno, fra i 400 e i 1.500 metri d’altitudine. E, nella sua alimentazione, sono banditi insilati e mangimi. Per questo è diventato un’eccellenza: è l’Agnello d’Alpago, nato da un’antica razza presente solo nella Conca e considerato in via d’estinzione dall’Unione Europea. Ora sono circa 2mila i capi, allevati dai 23 soci della Società agricola cooperativa “Fardjma”, presidio Slow Food.

Poche storie: il binomio agnello e Alpago è un’autentica garanzia. Nemmeno il lockdown ha stemperato il desiderio di gustare una delle tipicità più apprezzate sulle tavole bellunesi. E non solo.

Eppure, con i ristoranti e gli agriturismo chiusi a lungo, le prospettive erano tutt’altro che rassicuranti. E la strada sembrava segnata: carne invenduta e danni economici? Non è stato così. La Fardjma non ha registrato il minimo calo. Nemmeno a Pasqua, quando il virus era ancora al centro della scena: «La Coldiretti ci ha aiutato a piazzare i nostri prodotti – spiega il presidente Zaccaria Tona – e per questo non abbiamo risentito in modo particolare di un momento comunque delicato, nel quale abbiamo dovuto operare diversi cambiamenti in ambito logistico e organizzativo».

Non a caso, la vendita degli agnelli del 2020 è sostanzialmente in linea con gli anni passati. E questo, nonostante la filiera della ristorazione si sia spezzata per diverse settimane. Un risultato da rimarcare, figlio del grande lavoro e della credibilità costruita nel recente passato in Alpago: «Ma il vero problema non è tanto il Coronavirus – riprende Tona – bensì il ritorno dei grandi predatori. Un problema così marcato da coinvolgere l’intero territorio, non solo gli animali. Perché gli allevatori sono importanti anche per tenere pulita e in ordine la zona. Bisogna trovare una soluzione. E al più presto».